Lo studio pubblicato su Terra Nova correla lo spettro energetico delle eruzioni dell’Etna con lo straordinario contenuto di gas presente nel magma.


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Il “motore” dell’Etna: ecco perché il vulcano continua a eruttare

Il considerevole contenuto di gas nel magma è alla base della cadenza ritmica delle eruzioni e della straordinaria energia dei fenomeni eruttivi dell’Etna.

Lo rivela la ricerca, dal titolo “Magma dehydration controls the energy of recent eruptions at Mt. Etna volcano”, pubblicata sulla rivista scientifica Terra Nova a conclusione degli studi condotti dal dott. Francesco Zuccarello nell’ambito del dottorato di ricerca in Scienze della Terra e dell’Ambiente al Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali dell’Università di Catania.
Il lavoro è stato svolto sotto la supervisione del prof. Marco Viccaro, docente di Geochimica e Vulcanologia dell’Università di Catania, e in collaborazione con la dott.ssa Federica Schiavi del Laboratoire Magmas et Volcans dell’Université Clermont-Auvergne.

Lo studio sulle continue eruzioni dell’Etna

“Alla base della ricerca i dati ottenuti su inclusioni vetrose presenti in cristalli di olivina che rivelano i contenuti originari in componenti volatili dei magmi recenti eruttati all’Etna ovvero acqua, anidride carbonica, zolfo, cloro e fluoro – spiegano i ricercatori -. Il team ha messo in evidenza che i contenuti in particolare di acqua dei magmi eruttati nel corso dell’attività susseguitasi nel periodo 2013-2018 sono straordinariamente elevati e del tutto comparabili con quelli delle grandi eruzioni esplosive avvenute all’Etna nel 2001 e nel 2002-03, per le quali erano stati misurati contenuti in acqua eccezionali intorno al 3,5%”.
 
“La novità sensazionale consiste nel fatto che i magmi eruttati dall’Etna nel corso della sequenza di eruzioni parossistiche del 2011-2013, o del cratere Voragine nel 2015 e 2016, sono stati finora considerati relativamente impoveriti in acqua, complice il fatto che dati di questa natura erano sostanzialmente mancanti in letteratura – continuano i ricercatori -. Il contenuto in acqua ritenuto basso strideva anche con l’elevata energia dei fenomeni eruttivi osservata ad esempio per molti episodi di fontanamento durante la sequenza del 2011-2013 oppure durante l’eruzione parossistica del 3-4 dicembre del 2015 al cratere Voragine, che ha prodotto fontane di lava alte oltre 2 chilometri”.
 
Lo studio dimostra che il contenuto in gas finale presente nel magma, e dunque il potenziale esplosivo che sarà conferito all’eruzione, è fortemente influenzato dalle dinamiche di risalita. Tempi di risalita lenti possono favorire il rilascio di parte dell’elevato quantitativo di acqua primaria attraverso processi di degassamento, al contrario risalite veloci consentono il mantenimento di gran parte di essa nel magma comportando dinamiche eruttive altamente esplosive.
 
“Ciò significa in buona sostanza che l’Etna, pur essendo il paradigma mondiale di vulcano a condotto aperto, in specifici momenti del suo naturale ciclo vitale è in grado di simulare dinamiche molto affini a quelle di vulcani che degassano con modalità di sistema chiuso” aggiungono i ricercatori.
 
Il lavoro pubblicato può spiegare anche quanto sta accadendo all’Etna negli ultimi mesi con la sequenza di eruzioni parossistiche iniziata il 13 e 14 dicembre del 2020 e che ad oggi conta già ben 19 episodi eruttivi.
 
“È evidente come l’Etna sia attualmente molto carico di energia, derivante proprio dagli importanti volumi di magma ricco in gas che hanno fatto ingresso nel suo sistema di alimentazione verso la fine del 2020 e che ancora devono trovare un loro completo trasferimento verso la superficie – concludono i ricercatori -. Ed è proprio il considerevole contenuto di gas, con ogni probabilità paragonabile con quello definito per i magmi eruttati all’Etna nel periodo 2013-2018, che controlla sia la cadenza ritmica delle eruzioni, che nelle ultime settimane presentano frequenza nell’ordine delle 50-70 ore, sia la straordinaria energia dei fenomeni eruttivi”.


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